A 25 anni dall’approvazione della legge num. 109\96 e a 10 anni dall’approvazione del Codice Antimafia, la Commissione parlamentare antimafia pubblica la “Relazione sull’analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati”, a cura del IX Comitato per l’analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, avviata il 07 maggio 2019 e proseguita per oltre due anni. 

 

Si tratta di un documento importante, che tiene insieme oltre 80 audizioni, con una panoramica completa su tutti gli attori coinvolti nell’iter di sequestro confisca e riutilizzo di un bene confiscato.

Diverse delle analisi e proposte di Libera sono state fatte proprie dalla Commissione parlamentare.

Da una prima lettura, proviamo qui di seguito a segnalare alcuni passaggi importanti, criticità e proposte di modifiche; l’obiettivo del lavoro del IX Comitato è quello di provare a proporre una proposta di legge nei prossimi mesi, che possa riformare il Codice Antimafia (D.Lgs. Num. 159\2011 e ss.mm.) nel modo migliore possibile. 

A pagina 105 della relazione, infatti, si legge: “Alla luce di quanto sopra illustrato emerge un quadro profondamente deludente: lo Stato non conosce esattamente il numero e la tipologia dei beni sequestrati e confiscati nei procedimenti di prevenzione ed ignora del tutto, in quanto non rilevati, quelli relativi al processo penale. Appare evidente che i dati, ove completi ed attendibili, sono fondamentali per valutare le dimensioni complessive dell’efficacia dell’azione delle istituzioni nell’aggressione patrimoniale alla criminalità organizzata.”. Benché sia fuorviante estrarre una sola frase da oltre 400 pagine di analisi e di proposte, queste parole spingono il movimento antimafia a determinare ancora di più la sua azione di monitoraggio e rilancio, attraverso il dialogo continuo con le istituzioni e il partenariato economico e sociale. 

Proviamo qui a mettere in risalto alcuni dei temi principali, che già negli scorsi mesi Libera ha approfondito e analizzato, con un focus particolare sui beni immobili, che sono preziosa risorsa per sostenere il terzo settore e il mondo del volontariato. 

 

Dalle audizioni dei diversi Presidenti delle sezioni per le misure di prevenzione dei tribunali è risultato evidente come un migliore coordinamento tra le diverse azioni giudiziarie (dalle procure della Repubblica, tra procure circondariali e procura distrettuale, fino alla DIA e al questore) potrebbe velocizzare l’iter giudiziario, rendendo poi più agevole l’intero percorso del bene. Molti beni immobili, che ad oggi non riescono a essere destinati e assegnati sono bloccati per criticità che risalgono alla fase giudiziaria: errori di trascrizione catastale, decreti di confisca non completi, occupazioni abusive dei beni o confische per quota indivisa. Un aumento dell’organico in queste sezioni sarebbe d’aiuto nell’organizzazione del lavoro. 

Uno degli strumenti per risolvere, almeno in parte, questa difficoltà di comunicazione, è prevedere che ci sia un raccordo del flusso informativo tra le diverse banche dati attualmente operative (Ministero della Giustizia e Agenzia nazionale, in particolare). 

Una delle proposte arrivate in Comitato durante questi due anni di ascolto e di lavoro è della sezione capitolina delle misure di prevenzione: la sottoscrizione di un protocollo con ANBSC per poter armonizzare l’assegnazione provvisoria dei beni e delle aziende in fase di sequestro con la fase di gestione durante la confisca di secondo grado; questo permetterebbe una fluidità maggiore nel lavoro degli amministratori giudiziari e soprattutto una migliore perfomance del riutilizzo pubblico e sociale. Un protocollo così strutturato metterebbe a sistema anche tutte le informazioni e la documentazione sul bene e sulla sua situazione. 

Un “buco nero”, infatti, è rappresentato delle confische penali, delle quali anche il Ministero della Giustizia fatica a raccogliere qualsiasi tipo di dato reale, che possa poi essere una base di condivisione con gli altri organi (dalla DNAA all’Anbsc). Questo ha ripercussioni dirette sul lavoro dell’Agenzia, che si trova costretta a rallentare parte dei provvedimenti a suo carico diretto. 

Un’azione di coordinamento fondamentale dovrà essere operata anche a livello legislativo, tra le diverse misure che nel tempo si sono stratificate: razionalizzare maggiormente l’aggressione ai patrimoni dei mafiosi e dei corrotti, infatti, si tradurrebbe in una maggiore efficienza di tutti gli attori protagonisti di questo iter.

 

Da più parti è stata evidenziata la necessità di trovare un metodo condiviso per poter procedere con delle destinazioni provvisorie, in fase di sequestro dei beni, che possano mantenere inalterate le condizioni strutturali degli immobili e delle attività aziendali, facilitandone poi il loro riutilizzo in fase di confisca definitiva. Proprio in linea con questa idea, Libera, insieme alla rete associativa e territoriale, sta monitorando la possibilità che si possano applicare le procedure di co-programmazione e co-progettazione (ex art 55 del Codice del Terzo Settore) alla fase di assegnazione dei beni confiscati da parte degli enti pubblici, e quindi dal momento della loro destinazione agli enti locali; sarebbe uno strumento utile a creare un raccordo forte tra la comunità territoriale (e i bisogni della stessa) e l’amministrazione pubblica.

 

Le aziende sequestrate e confiscate, che da sempre hanno rappresentato un nodo cruciale per la lotta alle mafie e alla corruzione, ancora oggi sono al centro di una riflessione e approfondimento. Parte della loro sopravvivenza è legata alle linee di credito, che spesso vengono negate nel momento del sequestro; varie audizioni hanno riguardato direttamente questo tema, da quelle ai presidenti dei Tribunali fino a Banca d’Italia; la proposta, che la commissione ha più volte evidenziato nel testo, è quella di implementare gli strumenti finanziari per la gestione e la valorizzazione delle imprese (ex art. 41 del Codice Antimafia), soprattutto in considerazione della dimensione delle aziende, nella gran parte piccole e medie, che hanno difficoltà ad ottenere dei requisiti di patrimonializzazione tali da accedere a linee di sostegno ministeriali. 

La vera difficoltà per le aziende sequestrate e confiscate, però, è dover pagare il costo dello stato di illegalità in cui sono nate e hanno fondato la loro attività: lavoratori in nero o sottopagati, immobili con destinazioni d’uso irregolari, clienti e fornitori che abbandonano le commesse perché non ritengono di avere delle garanzie sufficienti o perché non hanno più il vincolo criminale. Su questo, il lavoro del MISE, della Banca d’Italia, delle associazioni professionali di categoria e anche dei sindacati dovrà trovare una concertazione e una linea comune di azione. La dignità dei lavoratori e le lavoratrici è, infatti, condizione fondamentale per la costruzione di una comunità libera dalle mafie e dalla corruzione. 

Affrontare il tema delle aziende chiama in causa anche la categoria degli amministratori giudiziari: l’ingente numero di sequestri e confische e la tipologia così variegata di imprese, richiede una gestione che sia di tipo performativo e non solo conservativo. Viene invocata da più voci, all’interno della relazione, una riforma del Codice Antimafia sul numero degli incarichi da affidare ad ognuno, mantenendo saldi i principi della trasparenza, dell’imparzialità e della proporzione. 

 

La relazione non tralascia i passi in avanti compiuti a livello internazionale, rafforzati dalla direttiva europea EU 2014\42 e dal regolamento EU 2018\1805, che vanno nella direzione di migliorare il raccordo tra i diversi stati membri e le loro procura. Libera, attraverso la rete CHANCE, sta realizzando un lavoro di monitoraggio e di analisi dell’applicazione di queste normative (in particolare dell’articolo della direttiva che suggerisce agli Stati Membri il riutilizzo pubblico e sociale) e sulla possibilità che i fondi europei di coesione possano essere uno strumento comunitario di valorizzazione degli immobili confiscati. 

 

Rilevante, ovviamente, è la parte dedicata all’ascolto dell’ANBSC, organo centrale nell’iter di confisca e destinazione, e dei direttori che si sono succeduti durante il periodo di lavoro del IX Comitato, il prefetto Bruno Frattasi e il prefetto Bruno Corda. 

Registriamo, come Libera ha più volte evidenziato nelle note associative, gli enormi ritardi accumulati per rendere l'Agenzia pienamente in grado di assolvere alle sue funzioni, pur riconoscendo che negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti, che hanno portato al miglioramento dell’amministrazione che possiamo considerare come il perno centrale di tutto l’iter di confisca e riutilizzo dei beni, pur con un organico ancora ridotto. Le Linee guida per l'amministrazione finalizzata alla destinazione degli immobili sequestrati e confiscati, per esempio, hanno riconosciuto il ruolo propulsivo del terzo settore e rimarcato in maniera decisa l’importanza di considerare la vendita dei beni come ultima ratio e non come procedura standard. Nel luglio 2020, inoltre, è partito il primo bando per l’assegnazione diretta di beni immobili, prima sperimentazione in linea con quanto predisposto dall’art. 48 del Codice Antimafia. Oltre 1000 lotti da assegnare a soggetti del terzo settore, con una clausola di preferenza laddove l’ente territoriale avesse espresso la volontà di prendere il bene nel suo patrimonio demaniale. 

Su questo punto, controverse sono state le dichiarazioni di alcuni enti auditi, tra cui l’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani): secondo il presidente De Caro, infatti, una delle criticità è stata quella di scegliere solo beni inoptati in precedenza dalle amministrazioni locali, senza una verifica preliminare e specifica delle condizioni strutturali e procedurali dello stesso. Come riporta l’Anci nella sua audizione, sarebbe stato forse auspicabile un raccordo più stretto con le amministrazioni, per fare in modo che i risultati potessero essere ancora più incisivi. La stessa ANCI, inoltre, ha riferito che apparirebbe preferibile un’assegnazione provvisoria agli enti locali anziché aspettare anni per la destinazione del bene, spesso non verificandone le condizioni di degrado o di occupazione abusiva, accumulando debiti.

I risultati delle assegnazioni e il monitoraggio dei lotti rimasti senza destinazione, potranno restituire un quadro sicuramente più completo e indicare la strada da seguire per i prossimi bandi. L’attuale direttore dell’Agenzia nazionale, il prefetto Corda, ha riportato durante la sua audizione i dati dei beni in gestione al 31 marzo 2021 (18.518 immobili; 2.929 aziende, di cui 1.149 inattive fin dalla data del sequestro e da liquidare), e ha presentato alcuni dei progetti ancora in corso tra cui “Spazi per ricominciare”, che ha messo a disposizione oltre 200 unità alle imprese per fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica legata al Covid-19.

Nel corso del 2020 ANBSC ha effettuato un monitoraggio istituzionale su circa 6.000 beni siti in 579 comuni per verificare l’effettivo utilizzo a fini sociali: la rilevazione, ancora in corso, ha avuto risposte da metà del campione con una percentuale di riuso pari a circa il 50%, quota ritenuta decisamente bassa. Al 20 febbraio 2021, su 2.176 comuni ove insistono beni, solo 795 dispongono delle credenziali e ben 1.381 non hanno accesso al sistema Open Regio; un simile dato trova conferma anche nella ricerca rimanDATI, realizzata da Libera nell’autunno del 2020, che attesta che oltre il 60% dei Comuni non è trasparente nella condivisione dei dati sui beni confiscati, attraverso l’elenco obbligatorio da pubblicare in Amministrazione trasparente. 

Questo evidenzia, ancora una volta, come sia necessario predisporre ulteriori interventi di sostegno e formazione per gli amministratori locali, che sono la parte terminale di un percorso lungo e tortuoso. In questo, ben si colloca il vademecum che viene allegato nella seconda parte della relazione, con modelli che seguono le tappe fondamentali del lavoro degli enti locali e che fornisce una rapida guida ai termini chiave di questa disciplina. Pagine che ci auguriamo possano diventare strumento di lavoro per tutte le amministrazioni, a prescindere dalle loro dimensioni e dalla concentrazione di beni sul territorio, ma soprattutto che possano richiamare ognuno degli attori impegnati alla costruzione di una comunità alternativa a quella mafiosa. 

Tra le proposte che il IX Comitato ha redatto a proposito del rafforzamento dell’Agenzia stessa, anche sulla base della relazione che la Corte dei Conti ha pubblicato nel 2016, una delle indicazioni riguarda la figura del Direttore. Per evitare che ci sia un avvicendamento nelle cariche come si è verificato finora (7 direttori diversi in 11 anni di attività istituzionale), si auspica che, come già accade per la magistratura, i direttori possano assicurare almeno quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo. Ugualmente, il Comitato chiede che si possa implementare l’organico dell’Agenzia con un magistrato, con esperienza specifica nel campo dei sequestri penali e di prevenzione e di gestione, collocato fuori ruolo, per affrontare i frequenti problemi giuridici senza aspettare le riunioni del Consiglio direttivo e supportare, in modo rapido ed efficiente, le direzioni generali. “Progettare, programmare ed attuare un disegno strategico”, per citare le parole della relazione stessa, sono attività che richiedono un organico stabile e con una conoscenza profonda e consapevole del complesso mondo del sequestro e della confisca. 

 

In ultimo, solo un breve passaggio sul tema del sostegno economico e finanziario, che in molti casi rappresenta un discrimine nella fase di richiesta del bene da parte dei Comuni e degli enti locali, come ribadito più volte durante l’intervento di Anci.

Ad oggi, oltre alle risorse finanziarie di fondazioni ed enti privati, non possiamo non citare le Politiche di Coesione e i Fondi Europei, in particolare con la Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione, redatta nel 2018 dall’ANBSC unitamente alla Ragioneria Generale dello Stato, al Dipartimento per le politiche di coesione e all’Agenzia per la coesione territoriale. Secondo quanto riportato durante l’audizione in Comitato dal direttore generale pro-tempore dell’ACT Massimo Sabatini, ad oggi l’utilizzo di queste risorse è ancora sottovalutato, per diverse e complesse ragioni. Nell’attuale ciclo di intervento europeo (programmazione 2014-2020), le politiche di coesione hanno finanziato 188 progetti per un importo pari a 144,6 milioni di euro. L’avanzamento complessivo, in termini di impegni su finanziamento totale pubblico, è pari al 21 per cento, mentre quello in termini di pagamenti su impegni è del 37,3 per cento (di cui la maggiore concentrazione è a carico del PON Legalità 2014-2020 affidato al Ministero dell’interno). 

Se da una parte, per i piccoli Comuni non è sempre facile avviare delle pratiche di progettazione e di rendicontazione di questi fondi, è importante che si trovi il modo di affiancare gli amministratori e fare in modo che sia sempre più agevole la fase di valorizzazione e di ristrutturazione di questi beni, alla luce del Piano nazionale di ripresa e resilienza e della programmazione europea 2021\2027 in fase di definizione proprio in questi mesi. Tra le indicazioni raccolte dal Comitato, inoltre, è importante rilevare come si sia raccomandato di prevedere l’utilizzo di una quota del Fondo Unico Giustizia, dove confluiscono le liquidità sequestrate e confiscate.

 

La strada che abbiamo tracciato in questi ventisei anni di impegno associativa, continua con responsabilità, attraverso le comunità monitoranti e le proposte di lavoro comune: nelle prossime settimane approfondiremo le singole proposte del Comitato, coinvolgendo in questa lettura anche la nostra rete associativa e territoriale, con l’obiettivo di poter progettare sempre meglio azioni di giustizia sociale e nuovi modelli di sviluppo territoriale.