Cominciamo da alcune domande: che cosa significa “Open government”? Perché esiste una rete internazionale (o meglio una partnership) dedicata a questo tema? E come ci sono finiti, i beni confiscati, nell’agenda italiana?

Come puoi leggere anche nel nostro glossario, con l’espressione “Open government” si fa in generale riferimento a tutte quelle azioni, dalla trasparenza amministrativa alla condivisione di decisioni strategiche assieme alla società civile, che le Istituzioni pubbliche (nazionali, territoriali e locali) possono mettere in campo per divenire aperte, conoscibili, partecipate, oggetto di vigilanza civica.
Esiste quindi un’iniziativa internazionale, chiamata appunto Open Government Partnership, che dal 2011 incoraggia i Paesi partner a stilare un elenco di impegni concreti e verificabili da parte di Governi e Istituzioni proprio su questi aspetti.
L’elenco di questi impegni, Paese per Paese, costituisce le cosiddette “Agende”, o “piani di azione”: l’Italia è uno delle 75 nazioni al mondo che ha scelto di aderire a quest’iniziativa, e siamo oggi arrivati a redigere il quarto piano di azione, che andrà dal 2019 al 2021, la cui bozza è disponibile in consultazione qui.

Veniamo al sodo. Come noterai, uno specifico punto (lo trovi a pagina 31, nella sezione “open data”, dalla voce 1.25 in poi) è specificatamente dedicato alla trasparenza dei beni confiscati. A prendersi la responsabilità di questo punto sono ovviamente le istituzioni, ossia la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), nello specifico il Nucleo di valutazione e analisi per la programmazione (NUVAP) e il Dipartimento per le politiche di coesione (DPC).

Se fai attenzione però, in questo punto ci sono due aspetti dal forte impatto.
Anzitutto, l’opera di coordinamento dei tantissimi dati pubblici, provenienti da fonti istituzionali diverse, relativi ai beni confiscati. Il fine sarà quello di riuscire ad avere come un codice fiscale per ogni bene confiscato, che ci permetterà di rintracciare continuamente quel bene indipendentemente che sia in mano all’Agenzia nazionale dei beni confiscati o dei Comuni, riuscendo a raggruppare i dati senza disperderli, anzi analizzandoli in dettaglio. Sembra semplice, ma richiede un grande coordinamento tra enti diversi, che hanno scelto di impegnarsi in tal senso.

Ciò che però è davvero rivoluzionario è che, per la prima volta, si inserisce nell’agenda nazionale (punti 1.31, 1.32 e 1.33) anche tutto un aspetto relativo all’azione dal basso delle comunità monitoranti, atte a coordinare laboratori di raccolta dati pubblici e a produrre tutti quei dati non istituzionali (che chiamiamo wikidata) relativi alla vita dei beni confiscati.
Concretamente, la cittadinanza è formalmente riconosciuta come soggetto in grado di contribuire tanto al monitoraggio quanto alla produzione di dati sui beni confiscati e sulle pratiche di riutilizzo, compreso alcuni focus sull’azione delle donne sui beni stessi.

Credici se ti diciamo che questa aggiunta è stata possibile grazie sicuramente a Istituzioni sensibili, ma anche per un paziente e lungo lavoro di Libera e Ondata, associazioni che da anni si impegnano all’advocacy per la trasparenza dei beni confiscati, e che hanno prodotto Confiscati bene 2.0..

Non finisce qui: se vuoi, partecipa alle consultazioni relative al quarto piano d’azione. Invia cioè tue proposte di integrazione entro il 30 aprile, soprattutto, aiutaci a rispettare in futuro gli impegni che ci siamo assunti.
Confiscati bene 2.0, così come ogni iniziativa di monitoraggio civico, funziona se e solo se passa per l’impegno di molti.