Chiariamo subito un equivoco: la vendita dei beni confiscati ai mafiosi non è mai stata per Libera un tabù. Già nella Legge 109 del 1996 è prevista l’opzione della vendita per quei beni il cui riutilizzo sociale si rivela oggettivamente impossibile. Dunque, nessun dogma. Libera continua a considerare la messa a reddito dei beni un’opzione praticabile, a patto però che resti un’eccezione, non la regola. Occorrono una serie di garanzie in ordine alla priorità del riutilizzo sociale e, in caso di messa a reddito e di vendita, in ordine ai soggetti ai quali la legge concede la possibilità dell’acquisto. Ecco perché ci lascia perplessi la previsione normativa, contenuta nel recente Decreto sicurezza, di aprire anche a tutti i privati la possibilità di acquistare all’asta i beni confiscati. La nostra preoccupazione è che la vendita, da extrema ratio, finisca a divenire una scorciatoia, utilizzata per evitare le possibili criticità che si riscontrano nella destinazione e assegnazione dei beni. Non solo: ci preoccupa la possibilità che i beni messi all’asta non solo siano venduti a prezzi fortemente inferiori e svalutati, ma che il loro acquisto possa essere realizzato da componenti di quella “area grigia”, composta da professionisti, imprenditori, faccendieri, che agisce formalmente nella legalità, ma in realtà opera per la riuscita di operazioni commerciali e finanziarie capaci di riciclare il danaro sporco e di provenienza illecita (es. evasione fiscale, truffe, frodi), magari proprio per conto o col beneplacito dei clan a cui i beni sono stati confiscati. Il rischio che si aggirino i paletti previsti per garantire una vendita controllata sono concreti.

Ecco perché fare trasparenza sui beni confiscati, ed è il fine di Confiscati bene 2.0, è oggi quanto mai necessario: per dimostrare, numeri corretti alla mano, che è molto meglio se i beni finiscono a essere utilizzati a fini istituzionali e sociali, e non certo venduti. E che il riutilizzo, nonostante tante chiacchiere spesso strumentali, funziona. Anzi, può funzionare ancora meglio se vengono rimosse quelle difficoltà all’origine che nessuno vuole nascondere. Ogni riforma dovrebbe andare a rimuovere quegli ostacoli, e non certo a rimuovere i beni confiscati dalla disponibilità dello Stato e delle organizzazioni sociali.

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