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per noi di Confiscati Bene è un grande piacere pubblicare un post di Flavia Amoroso. Si spende molto nella cura del suo territorio e ci segue con attenzione da molto tempo.
Che accedere alle informazioni sui beni confiscati non sia facile non è certo una novità; se da più di un anno sul sito dell'ANBSC i dati risultano "in aggiornamento", è vero anche che sui siti dei Comuni a cui sono stati trasferiti immobili e aziende molto spesso non si trova traccia di questi patrimoni.
Eppure l'art. 48 del Codice antimafia parla chiaro: "Gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene periodicamente aggiornato. L'elenco, reso pubblico con adeguate forme e in modo permanente, deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l'utilizzazione dei beni nonché, in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l'oggetto e la durata dell'atto di concessione."
Secondo l’ultimo dataset pubblicato da Confiscati Bene, aggiornato al 31 dicembre 2015, la sola provincia di Agrigento conta 300 beni confiscati, e con questo dato si piazza al diciottesimo posto per numero di beni su scala nazionale e al sesto in Sicilia; un numero destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi mesi, a seguito dei duri colpi recentemente inferti alla mafia agrigentina.
A testa alta, associazione antimafia di Licata, che dal 2013 è attiva sul territorio, è ben consapevole di quanto sia importante, specie in una realtà come quella di casa nostra, l'accessibilità immediata dei dati su questi patrimoni. Per questo motivo, l'approfondimento sui beni confiscati svolto dall’associazione, è partito proprio dall'analisi sulla pubblicazione dei dati da parte dei comuni. Attraverso la consultazione dei siti istituzionali delle varie amministrazioni, abbiamo verificato quanti comuni dell'agrigentino si siano realmente attenuti al rispetto delle norme in materia di trasparenza sui beni confiscati, comparando i dati con quelli pubblicati su Confiscati Bene.
Ebbene, ad aprile di quest'anno, data in cui abbiamo reso noti i risultati del nostro report, su 27 comuni in provincia di Agrigento solo tre avevano pubblicato l'elenco obbligatorio per legge. Di questi tre comuni Licata e Ribera presentavano un elenco incompleto, in cui mancava l'indicazione circa l'eventuale assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario, gli estremi, l’oggetto e la durata dell’atto di concessione. L'unico elenco esauriente risultava essere quello pubblicato dal comune di Casteltermini.
Il passo successivo lo abbiamo fatto inviando delle istanze di accesso civico, prima al Comune di Palma di Montechiaro poi a quello di Agrigento, per chiedere direttamente alle amministrazioni comunali che fine abbiano fatti i loro beni. La risposta del Segretario comunale di Palma di Montechiaro è stata sorprendente: «a questo Ente non sono stati assegnati beni immobili confiscati alla criminalità organizzata»; tuttavia, secondo i dati ufficiali dell'Agenzia, i beni confiscati assegnati al Comune di Palma sono tredici (sette immobili e sei aziende).
Dopo la pubblicazione del nostro report, i cui risultati sono stati riportati in un documentario che abbiamo intitolato emblematicamente "Confiscati e abbandonati", qualcosa si è mosso e alcuni comuni hanno provveduto ad adeguarsi alla normativa. Alla data di oggi i comuni che hanno pubblicato l'elenco sono saliti a quattordici; a Licata, Ribera e Casteltermini si sono aggiunti: Agrigento, Aragona, Camastra, Campobello di Licata, Canicattì, Cattolica Eraclea, Grotte, Naro, Santa Elisabetta, Sciacca e Siculiana.
La mancata pubblicazione degli elenchi rappresenta soltanto il primo sintomo della scarsissima attenzione che gli amministratori locali dell'agrigentino hanno riservato alla questione dei beni confiscati. Gli altri segni che abbiamo riscontrato sono ben peggiori: nel territorio di Licata ci sono ricchezze sottratte ai mafiosi lasciate da decenni in deplorevole stato di abbandono, appartamenti e terreni non utilizzati secondo le finalità di legge oppure abusivamente occupati o coltivati da terzi, fino ad arrivare al triste primato del primo bene confiscato in Italia posto sotto sequestro penale. Il terreno confiscato, dal 2000 affidato al Comune di Licata per essere destinato, sulla carta, a vivaio di essenze arboree, è stato trasformato, prima in "cimitero" per cani e cavalli, che venivano seppelliti con tanto di autorizzazione dei sindaci, e poi in discarica di rifiuti speciali. Per questo motivo l'area è stata posta sotto sequestro dai Carabinieri.
L'allarme lanciato da A testa alta è stato accolto, oltreché dagli enti comunali, anche dalla Magistratura e dall'ANBSC, che ha disposto verifiche tramite la Prefettura di Agrigento. Ma non basta.
In una provincia dove la mafia si avvale «con sistematicità del supporto e della compiacenza di esponenti della Pubblica Amministrazione», come sottolinea nelle sue relazioni la Direzione Investigativa Antimafia, urge un intervento sinergico e incisivo sulla questione beni confiscati in terra agrigentina, a partire dal monitoraggio, di questi patrimoni, che sia propedeutico a progetti di riutilizzo sociale che ridiano ossigeno al territorio e permettano davvero di restituire alla collettività le ricchezze sottratte alla mafia.
Flavia Amoroso - A Testa Alta