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L'ex cascina del boss ospiterà i senzatetto: la nuova vita di Casa Chiaravalle a Milano (VIDEO)

Casa Chiaravalle è una cascina sequestrata alla mafia nel 2012. Dopo la decisione del Tribunale, la struttura è stata affidata al Comune di Milano, che a sua volta l'ha consegnata a un gruppo di organizzazioni (Chico Mendes, Arci, Consorzio SIS e La Strada onlus) per restituirla alla comunità. Oggi i suoi 1.600 metri quadrati ospitano iniziative sociali, sono destinati ad accogliere famiglie in emergenza abitativa. Inoltre, questa casa è diventata un simbolo per gli studenti delle scuole che si avvicinano alla cultura dell'antimafia. Si tratta del bene più grande sottratto alla criminalità in Lombardia. Confiscati bene ha trascorso una giornata di monitoraggio civico con gli studenti dell'Istituto secondario E. Curiel di Tribiano (Milano) e ha potuto documentare le condizioni del bene confiscato. L'obiettivo della giornata è stato sensibilizzare gli studenti sul problema della criminalità organizzata al Nord, ma soprattutto avvicinarli a pratiche virtuose che derivano dalla confisca e dal riutilizzo a fini sociali dei beni.

Perché l'ANBSC non pubblica da 5 mesi i dati sui beni sequestrati e confiscati alle mafie?

In questi giorni si sta discutendo sull'efficacia e l'utilità degli open data nella lotta alla corruzione. Non entro nel merito, voglio prendermi un po' di tempo di riflessione. Penso però che sia necessario sottolineare un fatto di cronaca I dati pubblicati sul sito dell'"Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata" (ANBSC) come sapete non erano eccezionali. Scrivo "erano" perché dal 30 marzo del 2015 si legge: Statistiche in aggiornamento. Riallineamento in corso con dati del Ministero della Giustizia Mi domando retoricamente con voi : i dati aperti sono utili a contrastare la corruzione? Non ho una buona risposta, ma ci penso tutte le volte che uso la mia bici senza catena. foto di copertina di boegh

Cosa faremo nel secondo anno di ConfiscatiBene

Da Sod a Sod, dodici mesi dopo. Ne ha fatta di strada Confiscati Bene. Il progetto per la trasparenza sui beni confiscati alla criminalità e il monitoraggio sul loro riutilizzo sociale è stato arricchito di nuove proposte nel corso del terzo raduno di Spaghetti Open Data, svoltosi a Bologna dal 27 al 29 marzo 2015. Un anno dopo l’hackathon che di fatto aveva lanciato l’idea di aprire i dati sui patrimoni sottratti ai mafiosi e non solo, sono tornati a riunirsi civic hackers, giornalisti, sviluppatori, geomatici e grafici, che hanno lavorato a sei tavoli e ad altrettante proposte. Le principali novità presentate al termine dell’hackathon hanno riguardato la realizzazione di un questionario per il sito di Confiscati Bene, per raccogliere i dati secondo lo schema costruito con Libera e Monithon, due realtà con cui stiamo lavorando a un approfondito censimento sui beni confiscati in Italia. Un altro tavolo si è occupato dello scraping delle informazioni dalla sezione Amministrazione Trasparente dei Comuni, dove spesso sono contenuti anche i dati sui beni confiscati. Nella maggior parte dei casi si tratta di file in formato Pdf, su cui si può intervenire con Tabula per estrarre informazioni utili sul riutilizzo degli immobili. Il primo passo è stato lanciare una query Google search con alcune combinazioni di parole chiave, per poi ripetere l’operazione per l’intero elenco dei comuni italiani. In assenza di aggiornamenti da parte dell’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati, ci siamo concentrati sui decreti di destinazione, gli unici dati aggiornati che vengono caricati sul sito, secondo quanto ci è stato riferito dai vertici dell’ANBSC. Un gruppo di lavoro si è occupato dello scraping a mano dei decreti di destinazione di Emilia Romagna e Lombardia, estrapolando interessanti informazioni circa la data di sequestro, la data di confisca definitiva, la data di destinazione (in modo tale da calcolare il tempo trascorso tra i vari passaggi), l’autorità giudiziaria che ha disposto sequestro e confisca (per risalire al distretto giudiziario da cui era partita l’inchiesta). Inoltre, ove indicato e non coperto da ‘omissis’, nei decreti di destinazione sono contenute informazioni sui destinatari dei provvedimenti, sugli indirizzi dei beni, sulle particelle catastali; dettagli, questi, utili ad arricchire i dati già raccolti nella prima fase di Confiscati Bene. Il gruppo “geo” si è occupato di esaminare le informazioni fornite dai geoblog di Libera sulla distribuzione territoriale dei beni confiscati. E’ emerso che il Comune di Napoli e la Regione Piemonte forniscono gli unici elenchi completi di indirizzi e coordinate geografiche, che sono stati elaborati in shapefile attraverso QGIS (per capire quali sono le informazione di qualità minime sui beni e quali dati di base territoriali sono necessari per associare i dati su un bene immobile alle sue coordinate cartografiche). Lorenzo Perone ha intavolato con Marianna Bruschi del gruppo GE Local una discussione su un possibile modello di tagging degli articoli riguardanti il tema delle confische, che potrebbe essere poi arricchito in maniera progressiva dagli utenti (da noi!) per costruire una sorta di racconto permanente sui beni confiscati, valorizzando notizie provenienti da fonti qualificate (appunto, i quoditiani locali del Gruppo l'Espresso). Infine, dalle relazioni semestrali della Direzione investigativa antimafia dal 1998 al 2014 abbiamo cominciato ad estrarre dati sulla presenza dei clan per città e per singoli quartieri oltre ai resoconti sulle misure patrimoniali richieste dalla Dia. Lo scraping è stato una mission quasi impossible, visto che tali documenti sono stati rilasciati in un formato Pdf da immagine. Sui sequestri alla mafia nel primo semestre 2014 abbiamo realizzato una mappa in CartoDb in cui sono riportati il valore degli immobili e delle aziende sottratti alla criminalità, il clan di appartenenza, il comune in cui ricade il bene.

#ConfiscatiBene Reloaded: partecipa all'hackathon al Raduno di Spaghetti OpenData

Un anno fa al Raduno di Spaghetti OpenData ConfiscatiBene ha mosso i primi passi. Andrea Borruso ha fatto la prima mappa - scegliendo un bellissimo rosso per colorare le regioni con il numero maggiore di beni confiscati - Massimo Santi ha inventato il nome, e così via un gran bel gruppo di persone ha lavorato, contribuito, imparado condiviso (la prima release è disponibile qui). Da allora ad oggi sono cambiate tante cose, alcune persone si sono aggiunte al team (noi di dataninja.it e i supererori di Twinbit ad esempio), ma l'obiettivo è rimasto lo stesso: contribuire a fare trasparenza su un tema che tocca le nostre coscienze nel profondo, le nostre storie personali di cittadini ed attivisti in un Paese che avrebbe bisogno di mille, diecimila progetti così. ConfiscatiBene ha vinto una menzione all'Istat Data Challenge, il WindTrasparency Awards, è diventato un'inchiesta su l'Espresso e sul network GELocal fatto da 18 giornali locali: varie università italiane hanno ospitato i nostri interventi per parlarne, siamo stati accolti con affetto da Libera e Riparte il Futuro con i quali abbiamo cominciato a discutere di possibili/probabili miglioramenti futuri. Ecco perché non potevamo non organizzare un secondo hackathon - che un po' arbitrariamente mi sono permesso di ribattezzare con il nome "ConfiscatiBene Reloaded". Lo svilupperemo il 28 Marzo 2015 a Bologna (via Oberdan, 22 - sede di WorkingCapital) nell'ambito del raduno di Spaghetti OpenData, e vorremmo che fosse partecipato, che chiunque possa dare un contributo in base alle proprie competenze. Vi aspettiamo :)

Confisca dei beni a chi inquina: le novità nel disegno di legge sui reati ambientali

Chi inquina paga e dovrà rimetterci anche il proprio patrimonio. La confisca dei beni a carico dei responsabili di inquinamento e disastro ambientale è una delle novità introdotte dal disegno di legge sugli ecoreati, approvato di recente dal Senato e ora passato alla Camera per il via libera definitivo. Il percorso legislativo del testo, che rappresenta la sintesi delle proposte di Ermete Realacci del Partito Democratico, Serena Pellegrino di Sinistra e Libertà e Salvatore Micillo del Movimento 5 Stelle, è stato alquanto travagliato a causa delle centinaia di emendamenti che ne hanno rallentato l’esame e l’approvazione. Il ddl introduce quattro nuovi reati nel codice penale: l’inquinamento ambientale (articolo 452-bis) con pene tra i 2 e i 6 anni e multe fino a 100mila euro; il disastro ambientale (452-ter) con pene tra i 5 e i 15 anni di reclusione; traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-quinquies), punito da 2 a 6 anni, con multe da 10mila a 50mila euro; impedimento del controllo (452-sexies) con pene da 6 mesi a 3 anni. Chi deturpa e contamina l’ecosistema, vale a dire il suolo, l’acqua e l’aria provoca danni anche ad altri esseri umani, come emerso nei casi di inquinamento industriale da amianto, conclusi però con la prescrizione dei reati. E a tal proposito questo testo raddoppia i tempi di prescrizione e introdurre aggravanti per chi inquinando si rende responsabile di lesioni, lesioni gravissime o addirittura morte di altre persone. Queste condotte potranno determinare condanne fino a 20 anni di carcere, secondo un emendamento proposto dal senatore democratico Felice Casson. Sono previste altresì attenuanti e ‘sconti’ nei casi di ravvedimento operoso, quando l’autore del disastro si sia attivato per ripristinare lo stato dei luoghi. Con questa legge, se la Camera confermerà in toto il testo uscito da Palazzo Madama, lo Stato avrà un’altra freccia a disposizione del proprio arco: la possibilità di sottrarre i beni a chi inquina e ne fa un business. Potrebbe trattarsi di beni mobili oppure di immobili, utilizzati come strumento per l'illecito (si pensi agli automezzi per il trasporto o l'occultamento dei rifiuti) oppure acquistati con i proventi delle attività illecite. Business dietro i quali si celano anche gli interessi della criminalità organizzata: nel rapporto Ecomafie 2014 Legambiente ha ricostruito un business da 15 miliardi di euro. All’articolo 452-novies si stabilisce che nel caso di condanna o di applicazione della pena sono sottoposti a confisca “le cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato”. Inoltre, grazie a un emendamento del Movimento 5 stelle, si è stabilito che i beni confiscati o i loro eventuali proventi saranno messi a disposizione della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi. Non si applica la confisca, invece, nei casi in cui l’autore del reato abbia messo in sicurezza il luogo e abbia provveduto a bonificarlo. Con i quattro reati ambientali si amplia l’elenco contenuto all’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto legge 306/1992, per i quali è prevista la confisca nell’ambito di un procedimento penale. Questo articolo stabilisce che “è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. Rientrano già in questa fattispecie i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso (416-bis del codice penale), di detenzione e traffico di droga (articolo 73 e 74 del Dpr 309/90), di estorsione (629 cp), di sequestro di persona a scopo estorsivo (630 cp), usura (644 e 644-bis cp), ricettazione (648 cp), riciclaggio (648-bis e 648-ter cp), di riduzione in schiavitù e tratta degli schiavi (600, 601 e 602 cp), di reati contro la pubblica amministrazione quali corruzione, concussione, peculato, abuso d’ufficio (dal 314 al 325 del codice penale), come stabilito dalla legge finanziaria del 2007. Foto: Piero Annoni/Flickr

Gli opendata dei beni confiscati per un'amministrazione trasparente e per servizi innovativi sul territorio

Sono stato invitato da Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera Sicilia, a parlare di Confiscati Bene al workshop "Legalità, sviluppo e... trasparenza - Gli opendata dei beni confiscati per un'amministrazione trasparente e per servizi innovativi sul territorio". Si terrà a San Giuseppe Jato (Aula Consiliare) il 19 febbraio 2015 (ore 15/19). E' un incontro che mi tocca molto, perché si svolge in Sicilia, in un territorio in cui la mafia è stata ed è ancora una presenza forte. C'è anche un piacere personale nell'incontrare ancora una volta Libera, ma in una regione in cui ancora casualmente non era mai avvenuto. Ma più di tutto è un ulteriore passo per trasformare questo progetto in qualcosa di utile per la società e per chi, come Umberto e la sua associazione, si impegna da molto tempo per liberare pienamente l'energia potenziale dei beni confiscati alle mafie. Io sono sicuro che i dati aperti siano una delle scintille a disposizione e ne parlerò con entusiasmo. foto di testa di Domingo at it.wikipedia

Perché l’Agenzia non pubblica i nuovi dati sui beni confiscati

Quanti sono in Italia i beni confiscati alla criminalità? E’ una domanda che da mesi la community di Confiscati Bene pone a rappresentanti delle istituzioni, a parlamentari, a magistrati e ai vertici dell’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati. Non esiste un numero preciso, una fonte unica che consenta di ricostruire l’enorme patrimonio sottratto a boss mafiosi o narcotrafficanti, a colletti bianchi o corrotti, costituito da ville, appartamenti, capannoni, garage e uffici. Il tempo si è fermato al 7 gennaio del 2013, data dell’ultimo aggiornamento consultabile sul sito dell’Agenzia nazionale, che indicava in 11.237 immobili e in 1.707 aziende l’insieme degli asset frutto dell’economia illegale. A colloquio con l'Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati I circa 13mila beni cui si fa riferimento oggi sono "confiscati dagli anni Ottanta al 2012", come spiegato da Stefano Caponi, responsabile dei servizi informatici dell’Agenzia nazionale beni confiscati, nel corso di una tavola rotonda organizzata a Milano da Transparency International, organizzazione che sta conducendo un’indagine su open data e lotta alla criminalità. Tra una casa e una ditta c’è un differente grado di sopravvivenza: è molto probabile che quegli immobili, confiscati anche trent’anni fa stiano ancora lì; la stessa certezza non si può avere per società e imprese, “la maggior parte delle quali è senza dipendenti ed è strumento stesso dell’economia criminale”, come ha più volte sottolineato il prefetto Umberto Postiglione, direttore dell’ANBSC, nominato a giugno 2014 dal Consiglio dei Ministri. Le uniche novità: si pubblicano i decreti di destinazione L’unico aggiornamento in atto sul sito dell’ANBSC riguarda la pubblicazione dei decreti di destinazione – in un formato pdf tutt’altro che aperto -, pieno di omissis e per niente utile a ricostruire la cronistoria di un bene confiscato. I dati aggiornati al 7 gennaio 2013 non sono altro che gli ultimi dati forniti dall'Agenzia del Demanio, che ha smesso di raccoglierli il 31 dicembre 2012, passando il testimone al sistema Regio, che in effetti non è mai partito del tutto perché la sua fonte di informazioni sul piano giudiziario, il Sit.Mp è stato presentato solo nell'estate del 2014 ed è ancora in fase di rodaggio. Quindi, l’Agenzia non pubblica ancora i nuovi dati perché sta ricostruendo il database in cui confluiranno le informazioni sia sulle confische da misure di prevenzione patrimoniale (provenienti da: Sippi, il Sistema informativo di Procure e Prefetture; Sit.Mp, database delle misure di prevenzione patrimoniale, finanziato con fondi Pon per le Regioni del Sud), che le confische penali ex articolo 12 sexies della legge legge 356/1992. Le nomine al Consiglio direttivo sbloccano le assegnazioni Sul piano giudiziario e su quello amministrativo non si può dire che l’assalto ai patrimoni mafiosi, o illegali in senso più ampio, si sia fermato. Tutt’altro. Le recenti nomine dei membri mancanti del Comitato direttivo dell’ANBSC, attese ormai da sei mesi, consentiranno di sbloccare un migliaio di decreti di destinazione dei beni confiscati. Per poter leggere il resoconto di un lavoro finora riportato solo in comunicati stampa e in qualche verbale parlamentare bisognerà attendere mesi, forse il prossimo autunno, quando entrerà in funzione a pieno regime il sistema Regio. Nel più grande database nazionale sui beni confiscati **saranno inserite in molti casi anche a mano tutte le informazioni sulla vita del bene stesso, **dalla proposta di sequestro alla prima sentenza, fino alla destinazione finale. Allora sarà più lineare il percorso verso la restituzione di un ex bene criminale alla collettività e sarà più chiaro se e in quale punto esatto la macchina dell’antimafia avrà rallentato la sua corsa. Foto: Theen Moy/Flickr

Lumia interroga il Governo: dare ai senza tetto beni confiscati alla mafia (guest post)

Mentre aumenta costantemente il numero delle famiglie e delle persone senza una casa centinaia di immobili confiscati alla mafia rimangono inutilizzati nelle nostre città. Nasce da questa considerazione un’interrogazione del senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, per chiedere al Governo di dare ai poveri gli immobili sottratti ai boss. Su questa proposta il direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, Umberto Postiglione, nel corso di un suo viaggio in Sicilia, aveva già manifestato la volontà di destinare ai senza tetto i beni confiscati adibiti a civile abitazione. L’iniziativa condivisa da molte realtà della società civile è stata poi rilanciata qualche giorno fa, durante la trasmissione “Ditelo a Rgs”, dal direttore del Giornale di Sicilia Giovanni Pepi e dal senatore del Pd Giuseppe Lumia. Da qui l’interrogazione dell’ex presidente dell’Antimafia ai Ministri della giustizia, Andrea Orlando, e dell’interno, Angelino Alfano, ai quali ha chiesto: se hanno piena cognizione dello stato in cui versano i beni confiscati nel nostro Paese; se intendono istituire un tavolo interistituzionale per sviluppare un piano di provvedimenti legislativi e amministrativi al fine di promuoverne il loro riutilizzo; se il Governo intenda destinare in via prioritaria ai soggetti svantaggiati e senza dimora gli immobili idonei ad uso abitativo. Nel testo dell’interrogazione viene citata l’inchiesta realizzata da Dataninja.it sui dati dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, pubblicati in open data su Confiscatibene.it. L’inchiesta pubblicata lo scorso settembre, dice Lumia, ha fornito “un quadro chiaro ed esauriente della situazione”, nonostante faccia “forzatamente riferimento a dati ormai  risalenti nel tempo, poiché l’Agenzia dei beni confiscati non ha ancora completato un proprio sistema di rilevamento”. È questo, infatti, un limite strutturale che la comunità di Confiscatibene.it chiede di superare al più presto, perché impedisce l’azione di monitoraggio sullo stato dei beni, fondamentale per sviluppare un programma di riutilizzo efficiente. A fronte di 11.238 beni immobili e 1.708 aziende sono solo poche centinaia quelli riutilizzati da associazioni e cooperative. Numeri che mettendo in seria crisi la credibilità di una lotta alla mafia basata sulla promozione dei diritti dei cittadini. Il riuso dei beni confiscati alle mafie è, quindi, fondamentale dal punto di vista delle ricadute economiche e culturali, perché rappresenta uno straordinario fattore di crescita e di riscatto per quelle aree del Paese che più delle altre hanno subìto la mortificazione della presenza mafiosa.

La mappa degli amministratori minacciati: Torino come il Sud, piccoli Comuni nel mirino più delle città

Nel 2013 solo Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia sono le regioni rimaste immuni da minacce di tipo mafioso ai danni degli amministratori pubblici; la regione più colpita è la Puglia con 61 eventi di questo tipo; segue a breve distanza la Sicilia con 59. Ai piedi di questo poco invidiabile podio troviamo la Calabria con 53. A seguire Campania, Sardegna e Lazio. La classifica delle province vede in testa Palermo (22 eventi), e a seguire Cosenza (18), Taranto e Reggio Calabria (14) e Foggia (13). Sono i dati di Avviso Pubblico (associazione che collega gli enti locali per la formazione civile contro le mafie) raccolti nella ricerca "Amministratori Minacciati 2013", sui quali è stato fatto scraping ("grattare") e un lungo lavoro di ripulitura, ristrutturazione ed arricchimento da parte degli studenti del Laboratorio di Data Journalism dell'Università di Bologna. [UPDATE - Questo post è stato citato in un articolo de Il Tirreno] Dall'analisi emerge poi che anche regioni del Nord come Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna riportano un discreto numero di eventi (da 9 a 7) anche se il fenomeno è certamente più diffuso al Sud. Palermo, Napoli e Bari sono i capoluoghi di regione più soggetti a situazione di questo genere e attraverso lo studio dei dati si può dedurre che la mafia si muova più frequentemente nei piccoli comuni. È importante notare che il numero di episodi, seppure esiguo, verificatosi in provincia di Torino si equivale al numero di episodi di alcune province del Sud. In conclusione il numero degli avvenimenti è considerevole ma nulla esclude che nel territorio italiano si siano verificati altre vicende a noi non noti perché non denunciati. La maggior parte delle minacce avviene nei comuni di provincia, piuttosto che nelle città provincia stesse, ed è rivolta con maggiore frequenza ai sindaci o a loro collaboratori. Se il comune maggiormente colpito è Palermo, in vettà alla classifica però troviamo anche Vibo Valentia e Lipari. L’atto intimidatorio si esplicita in molti casi con auto e abitazioni incendiate o danneggiate, in altri casi vengono colpiti anche uffici comunali o luoghi istituzionali. Tra gli episodi spuntano vere e proprie intimidazioni mafiose: è il caso della lettera ricevuta in agosto dal presidente della Commissione anticorruzione del Molise Vincenzo Musacchio, in cui si legge: “Se continui a parlare finisci sotto terra, hai toccato le persone sbagliate”. Oppure anche dell’irrisolto e conosciutissimo caso dell’incendio doloso alla città della Scienza, dove in una notte la malavita ha distrutto quello che era un gioiello per la città di Napoli. La mappa mostra: Le province italiani per numero di minacce I marker geolocalizzati dei singoli eventi Risorse Fonte dei dati: Report Avviso Pubblico Dataset: Scarica i dati Nota Metodologica Il lavoro di Data Journalism sugli Amministratori minacciati in Italia nel corso dell’anno 2013 è stato svolto grazie ai dati raccolti dall’inchiesta di Avviso Pubblico. In primo luogo abbiamo operato una selezione e una pulizia dei dati, operazione via via affinata al fine di rendere i dati in nostro possesso il più granulari e uniformi possibili, in modo che fossero facilmente utilizzabili. Particolare attenzione è stata riposta nella tracciabilità delle fonti: per ogni evento abbiamo annesso un link a un articolo che spiegasse l’accaduto. Questa scelta ha permesso a noi di verificare i dati di Avviso Pubblico, confermandoli o arricchendoli; il fruitore finale potrà così verificare l’attendibilità del lavoro e approfondire il singolo avvenimento. I testi di questo articolo sono stati realizzati dagli studenti. Gli studenti e autori Agnese Mirella Bamba, Alessandro Banani, Annalaura Ceré, Enrico De Mujà, Brenda Dello Margio, Michela Di Fiore, AngelaMaria Diciolla, Tommaso Fiaschi, Maria Emanuela Giordani, Valentina Lambertini, Erica Lomaestro, Antonino Noto, Francesca Palumbo, Marta Panighel, Francesco Patella, Annalaura Perini, Leonardo Sanna, Pietro Scipione, Sara Servadei , Andrea Troccoli, Gabriele Zanella, Francesca Zanella

Mille beni confiscati bloccati dalla burocrazia: intervista al direttore dell'Agenzia nazionale

La burocrazia come un attentato. Nel percorso di riconversione dei beni confiscati alle mafie anche una firma può determinare ritardi che favoriscono gli interessi delle cosche a riappropriarsene. Succede che da mesi mille decreti di destinazione siano bloccati, perché manca la nomina del consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Decisione, questa, che spetta al presidente del Consiglio su proposta del ministro degli Interni. Oggi c'è un uomo solo alla guida ed è Umberto Postiglione, già prefetto di Palermo e Agrigento, che senza gli altri quattro componenti e con appena 45 dipendenti deve affrontare da solo alcune spinose questioni. Innanzitutto, il ritardo nella destinazione di beni immobili e aziende. Nell'ultimo biennio, a fronte di un aumento delle confische in via giudiziaria, nella fase amministrativa, quella che determina la consegna della casa o della ditta a comuni, associazioni o forze dell'ordine, si è registrata una brusca frenata. Il neo direttore, in carica dal 18 giugno scorso, intanto, va avanti a colpi di decisioni monocratiche. "Abbiamo pronti mille decreti di destinazione, le decisioni le prendo da solo poi il consiglio ratificherà". Il tempo è il principale alleato della mafia, che ha tutto l'interesse in un fallimento delle politiche di riutilizzo dei beni confiscati, soprattutto delle aziende. Licenziamenti si traducono in nuova emergenza sociale e alimentano il sentimento del "rimpiangere i capoclan". Sono 1700 le aziende confiscate alla criminalità organizzata, 1200 delle quali ancora sotto la gestione dell'Agenzia. Ma il numero è destinato a salire, visto che il database è fermo al 7 gennaio 2013. L'assenza del consiglio direttivo non è l'unico vuoto da colmare. Manca il lancio definitivo del sistema informatico Regio, il database nazionale che renderà più efficace la lotta ai patrimoni criminali, finanziato con 7,2 milioni di euro di fondi statali ed europei e non ancora utilizzato. Su questo punto Postiglione annuncia novità imminenti ("Siamo in fase di collaudo, attendiamo i dati dal Sippi, Sistema informatico di Procure e Prefetture") ripetendo ciò che a luglio 2014 affermò in audizione in Commissione antimafia. Direttore Postiglione, decreti fermi, inefficienze e licenziamenti non rischiano di rafforzare i mafiosi? "Stiamo lavorando sugli aspetti seri e complessi di questa situazione. Analizziamo caso per caso, soprattutto quando sono coinvolti persone, lavoratori. I dati sulle aziende, ad esempio, vanno analizzati a fondo. I dipendenti delle società sottratte ai mafiosi sono 1200, di cui 900 nella sola Sicilia. Contiamo meno di un occupato per ogni azienda, nella maggior parte dei casi siamo di fronte solo a lavatrici di denaro sporco, sedi di pochi metri quadrati, con una scrivania, una sedia e un dipendente, magari pure arrestato". Le proteste dei sindacati, l'allarme di Libera, quelli però erano reali. "Salvare un'azienda vera, con clienti veri e dipendenti in carne e ossa, è un nostro compito. Lo abbiamo fatto con i supermercati di Giuseppe Grigoli, un prestanome di Matteo Messina Denaro. Una nuova società (la Esse Emme, ndr), ha rilevato 32 punti vendita dell'ex gruppo 6Gdo confiscato nel 2013 dell'imprenditore colluso. In ballo c'erano anche 400 posti di lavoro, compreso l'indotto". Sul lavoro ha avuto qualche screzio con la Commissione parlamentare antimafia. "La Commissione ci accusa di voler far passare il principio che la mafia faceva lavorare e lo Stato no. Prima di affermare ciò, dovremmo analizzare le singole vicende. Chiediamoci se la mafia dava lavoro o utilizzava quelle aziende come strumento per una previdenza sociale per gli affiliati o loro parenti. Quando arriva lo Stato con la confisca, quella società perde la clientela, perde il credito, perché improvvisamente le banche si accorgono che è viziata dalla mafia; perde ovviamente la possibilità di estorcere denaro e di intimidire i clienti, e penso al pizzo sul calcestruzzo; perde la possibilità di costringere un dipendente a firmare buste paga da 1800 euro e intascarne soltanto 700". Quindi, un'azienda mafiosa merita di chiudere prima ancora di ogni tentativo di salvataggio? "Va verificato caso per caso. Propongo che nella fase di sequestro venga compilato un questionario, con l'aiuto della polizia giudiziaria, secondo una griglia di domande che ci consentirà di verificare se sussistono gli elementi per considerarla una vera azienda o solo un'articolazione della struttura criminale o una lavatrice di denaro sporco. In quest'ultimo caso il magistrato al momento del sequestro deve metterla in liquidazione, perché non possiamo dissanguare i proventi del lavoro di chi ha svolto le indagini, continuando a gestire qualcosa che non può essere gestita". Foto: Alessandro Pautasso/Flickr